Psicologia del tabagista

Problematiche fisiche, psicologiche e motivazionali nella dipendenza da nicotina

I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul fumo di tabacco sono allarmanti e presentano i caratteri di una vera e propria emergenza mondiale. A  fronte  di 1 miliardo  e  200 milioni di fumatori nel mondo si registrano più di 4 milioni di morti all’anno (1 ogni 10 secondi) di cui 2 milioni nei Paesi industrializzati e più di 1 milione in quelli in via di sviluppo.

Il fumo di sigaretta  è  diventata  la prima  causa  di  morte  evitabile  che  in mezzo secolo ha ucciso 60 milioni di persone, più di quante ne abbiano sterminate, insieme, due guerre mondiali. Se continua a persistere questo trend tabagico, nel  2025  avremo  10  milioni  di  decessi l’anno dovuti al fumo. La ricaduta in  termini  di  patologie mortali  fumo-correlate  si  aggira  intorno ai 90.000/morti  all’anno  (1  ogni  7-8 minuti) di cui: 51.000 per tumori, 30.000 per cancro polmonare, 21.000 per cancro alla vescica, al cavo orale, alla faringe ed alla laringe, 25.000 per bronchite ed enfisema polmonare, 14.000 per patologia vascolare, cardiaca e cerebrale.

Almeno il 40% dei fumatori   italiani pensa di smettere di fumare ed il 20% ci prova ma solo nel 2-3% all’anno riescono autonomamente  a  smettere  di  fumare.

Sul lungo termine la percentuale di successi sale al 7%  nei  fumatori  che  intraprendono  un  tentativo  di  smettere  da soli.  Tutte le tecniche utilizzate nelle metodologie  per  la  disassuefazione  da fumo  di  tabacco  non  possono  prescindere quindi dalla realtà psicologica e cioè che il tabagismo è anche dipendenza vera e propria da  nicotina   oltre  che  da fumo di tabacco che innesca e mantiene la  componente  psico-comportamentale.  Oggi, epoca  in  cui  il  meccanismo della  dipendenza  da  nicotina  è  ormai conosciuto e la psicologia è una scienza affermata, ci  si  è  resi  conto  che  ci  sono dei  meccanismi  emotivi  e  comportamentali  che  favoriscono  l’abitudine  e che  la  nicotina  induce  una  dipendenza farmacologica,  al  pari  di  altre  sostanze psicotrope.

 L’importanza della dipendenza alla nicotina nella disassuefazione  è  evidente,  ma  non  dovrebbe  essere  eccessivamente  sovrastimata  per  non  rischiare  di sottovalutare  altre  componenti  psico-comportamentali  che  intervengono  nel tabagismo. Certi  fumatori  hanno  delle  difficoltà  ad arrestare la dipendenza fisica, altri hanno più difficoltà a combattere il condizionamento  psicologico  che  può  durare  a lungo anche dopo la scomparsa di sintomi fisici dello stato d’astinenza. Nel  pensare  al  concetto  di  dipendenza, dovremmo ricordare che essa si caratterizza   fondamentalmente   come   “relazione” patologica  con  una  persona, una sostanza   o   un   comportamento.   Gli approcci più attuali alla medicina delle dipendenze hanno, per esempio, evidenziato come questa patologia può instaurarsi anche in assenza di sostanze esogene che agiscano sul cervello. Basti pensare alla dipendenza da gioco  d’azzardo  o da videogiochi. Molti modelli interpretativi del tabagismo tendono a individuare il fumo  come  un  “sintomo”, l’espressione di un disagio o di una strategia di adattamento  a  situazioni  di  difficile  gestione, tra  cui  elevati  livelli  di  conflittualità  interiore o nelle relazioni con gli altri. Diverse ricerche  hanno  evidenziato  la maggiore  frequenza  di  disturbi  d’ansia, depressivi o comunque del tono dell’umore, minore  capacità  di  coping, più bassa  autostima  e  self-efficacy  nei  forti tabagisti.  Dobbiamo,  in  sintesi  sottolineare che:

  1. Fumatori non  si  nasce,  ci  si  diventa, spesso  da  ragazzi,  quasi  sempre  per rispondere  (ancor  prima  che  la  dipendenza  nicotinica  sia  instaurata)  ad  un bisogno  di  Si diventa  fumatori, nell’80%  dei  casi  circa, prima  dei 18  anni. Si  inizia  a  fumare  per  sentirsi adulti  e  capaci  di  gestire  situazioni  di difficoltà  relazionale. Il  fumo  è, nell’adolescente,  un  modo  per  sviluppare un  senso  di  identità,  accettarsi  ed accettare   le   mutazioni   del   proprio aspetto fisico.
  1. Il fumo si trasforma, poi, in un forte strumento di  piacere-gratificazione  orale, usato per gestire o connotare situazioni tipiche: concentrarsi meglio, concedersi una  pausa, scaricare  la  tensione  nervosa,  Il piacere  è  sicuramente uno  degli  stimoli  primari  per  l’uomo, capace di funzionare come attrazione e come  ricompensa  in  situazioni  molto diverse  tra  loro.  La gratificazione  da nicotina  è  concettualmente  una  cosa semplice, versatile, funzionale. Si adatta bene  a  strutturare  meccanismi  di  compensazione  o  risarcimento  psicologico, che  in  ogni  persona  possono  essere legati a situazioni ed eventi diversi.
  1. La gratificazione da fumo può finire per diventare, in taluni casi, la  sostituzione di  abilità  comunicative,  la  scorciatoia per  rassicurarsi, placare  l’ansia, le  difficoltà quotidiane, la risposta surrogata a bisogni veri in ambiti più svariati. Senza  comprendere questi  aspetti  del tabagismo sarà difficile riuscire a curarlo, pensando ad esso semplicemente come una “cattiva  abitudine”. Un approccio che tenga conto degli aspetti psicologici fornisce, inoltre, gli strumenti  per  interpretare  le  difficoltà  del  fumatore  che  sta smettendo  e  il  percorso  di  elaborazione del lutto che è costretto a percorrere. L’abbandono del fumo può essere più o meno difficile del previsto: le risposte sono individuali.

 

Le motivazioni a smettere e il processo di cambiamento

È praticamente  quasi  impossibile  fare smettere un fumatore che non è motivato  a  farlo. E la motivazione  non  è  facilmente inducibile informando un paziente,  per  esempio,  dei  danni  prodotti  dal fumo. Nonostante sia necessario utilizzare  al  meglio  tutte  le  occasioni  per  informare  i  fumatori,  è  necessario  adottare strategie  più  adatte  allo  stadio  motivazionale in cui si trovano, valutando attentamente   i   risvolti   emozionali   che   la comunicazione  produce. Sembra assolutamente  inutile  proporre  terapie  specifiche,  cosa  che  condurrebbe  solo  ad  una  discussione  tra  il medico e il paziente, con un alternarsi di obiezioni  e  di  risposte  che  rischiano  di sconfinare  nella  polemica. Gli interventi troppo insistenti finiscono poi per risultare sgraditi agli utenti e far loro evitare il rapporto  col  medico, dal  momento  che sanno ad ogni visita di sentirsi “accusati” o “giudicati”. L’unico approccio  possibile in  questa  situazione  è  quello  volto  a mantenere    un    buon    aggancio  relazionale col paziente. Gli interventi del medico o dello psicologo devono  essere  più volti  a  sottolineare  di  tanto  in  tanto  i vantaggi del non fumare che a spaventare il paziente con il fantasma delle malattie legate al fumo. L’obiettivo finale deve essere quello di far aumentare, con interventi sintetici, la frattura  interiore, cioè  insinuare  nella  mente  dell’interlocutore  la possibilità  di  smettere  e  il  vantaggio  di farlo. (Ha pensato ultimamente di smettere  di  fumare?  Si ricordi che  quando deciderà,  io  le  potrò  dare  una  mano!),

Secondo la teoria, di Prochaska e Di Clemente un fumatore attraversa diverse fasi:

Si può dire che a tutt’oggi, tenendo presente che la nicotinodipendenza è una dipendenza psico-fisica, fra tutte le metodiche di disassuefazione dal fumo di tabacco, quelle che hanno trovato una validazione scientifica per la indiscussa efficacia è la terapia sostitutiva con nicotina (cerotto, gomma, e inalatore) specie se associata ad un programma di supporto psicologico per controllare i fattori emozionali della dipendenza dal fumo.

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